Unfinished Museum

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Ilaria Pilar Patassini

Fosse una musica l’incompiuto sarebbe una versione raffinata delle musiche per ascensori dove c’è questo sottofondo felpato indefinito, spersonalizzato, spesso molesto e inutile ma poiché l’incompiuto ha una sua nobiltà, penso invece ad una sua versione fintamente rarefatta, con una direzione e due sole dimensioni, una musica in transito, con un’idea di struttura ma ancora non un’anima e non armonici sufficenti a renderla pericolosa quanto basta da essere ascoltata. 

Il senso del compiuto arriva solo quando posso creare un’opera agendo personalmente in tutte le sue parti: quella musicale, testuale, visiva, narrativa. Non a caso trovo che l’Opera lirica sia la forma d’arte più completa di tutte: musica, letteratura, scenografia, architettura, costumistica, storia, archetipi.. tante maestranze che compongono l’armonia del tutto. 

Il compiuto è aderire alla propria natura.

 

Se ti dico Incompiuto qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Me ne vengono in mente due. La prima, più recente, è il percorso del mio ultimo disco,“Luna in ariete”. Si tratta di un concept album ideato e registrato durante la mia gravidanza, il primo lavoro che ho firmato per intero, ideandone anche la parte visiva e  firmato parte degli arrangiamenti. Avrei volevo realizzare 9 videoclip – uno per ogni canzone e con un percorso preciso ma a causa del Covid ne ho potuti realizzare soltanto 3.  É stato un grande dolore, ci lavoravo da tre anni, ma a differenza di molti altri colleghi almeno ho avuto la gioia di aver potuto pubblicare il disco e avere pochi ma preziosi mesi – da settembre a fine febbraio – per divulgarlo e suonarlo. 

Il secondo incompiuto invece è legato alla mia vocazione poetica. Sono una cantante anomala, leggo più di quello che ascolto (colpevolmente, non me ne faccio un vanto), posso stare senza ascoltare musica ma non senza leggere. Sono piena di quaderni, di testi e di versi scritti, alcuni terminati, altri appuntati, frasi smozzicate che sono promesse di germogli. In parte, nel tempo, alcuni versi sono diventati canzoni, ma ho due raccolte di poesie che mi piacerebbe dare al mondo, sembra però non sia mai il momento di mettere fuori la testa. Vedremo in futuro, se avrò meno pudore. 

Unfinished di che colore/forma è?

Un colore pastello sicuramente, forse un ambra chiaro. L’incompiuto apre spazio al sogno, può essere quindi un colore malinconico, caldo, che comunque agisce e resta una possibilità. L’incompiuto è fluido, per sua definizione non può avere una forma, è un divenire. Fosse una musica sarebbe una versione raffinata delle musiche per ascensori dove c’è questo sottofondo felpato indefinito, spersonalizzato, spesso molesto e inutile ma poiché l’incompiuto ha una sua nobiltà, penso invece ad una sua versione fintamente rarefatta, con una direzione e due sole dimensioni, una musica in transito, con un’idea di struttura ma ancora non un’anima e non armonici sufficienti a renderla pericolosa quanto basta da essere ascoltata.

C’è qualcosa che hai lasciato incompiuto nella tua vita?

Non sono stanziale, non ho mai avuto un indirizzo compiuto, veramente mio. Quest’anno però porta con sé anche questa di rivoluzione, sto abitando la stessa casa da mesi ma nel mio capolavoro di incompiutezza riesco comunque a non essere radicata nè di qua nè di là e adesso, pur non spostandomi quasi da Alghero causa Covid, ho una casa a Roma, con il mio nome sul citofono. Non lo avevo mai avuto, un nome sul citofono. In “Luna in Ariete” c’è una canzone che si chiama “A metà”, dove faccio pace con la mia dualità perché evidentemente è proprio la dualità a definire il mio intero, del resto ho anche ho due occhi di colore diverso, vivo di contrapposizioni. L’incompiutezza in me si traduce però spesso in indecisione. Non so quasi mai a quali parte di me dare da mangiare. Quando si è molto versatili ci sono tante parti che reclamano attenzione, cosa che esprimono con molta potenza, per me è sempre come avere dieci carri da trainare e non poterne lasciare indietro nessuno, perché la parte che lascio indietro scava un buco, protesta, e puntualmente ci finisco dentro. 

Il senso del compiuto arriva solo quando posso creare un’opera in tutte le sue parti: quella musicale, testuale, visiva, della narrazione. Non a caso trovo che l’Opera lirica sia un intero, perché è la forma d’arte più completa di tutte: musica, letteratura, scenografia, architettura, costumistica, storia, archetipi, tante maestranze che compongono l’armonia del tutto.

Quale è il tuo rapporto con le cose incompiute?

Pessimo, conflittuale. Un’idea che invecchia, che aspetta e non si compie è ogni volta un dolore, ma cerco di mantenermi elastica, espandibile, di mantenere il giudizio sospeso anche perché idee nuove corredate da entusiasmo me ne arrivano sempre tantissime. Di contro poi c’è l’aspetto anche poetico e giustificativo: la poesia è un grande alibi e l’incompiuto non lascia tracce, se non si comunica non esiste, ecco, trovo ci sia molta poesia in questa assenza, in questa sottrazione volontaria. Penso sia un pensiero che dovrebbe animarci per i prossimi anni, quello di non lasciare traccia, come una barca a vela che non lascia tracce nel mare, non inquina, non fa rumore, vive e lascia a vivere. Non è obbligatorio dover compiere sempre qualcosa fino in fondo. Forse quello che non si è compiuto semplicemente non era abbastanza forte da volersi comunicare perché quando si ha una vocazione feroce –  non un hobby esercitato nel tempo libero – la strada per esprimerla la si trova sempre. Quando leggo e porto a termine le mie poesie mi dico: non è un hobby, sono poesie a motore queste, non a vela, quindi da qualche parte arriveranno, attraccheranno. 

Qualcosa di incompiuto che vorresti venisse finito

Un percorso che deve per forza compiersi sarebbe quello per le donne di non essere più invisibili al mondo delle statistiche, perché il mondo si salverà solo se diventerà femminista, non ha altra possibilità di salvezza. Se non si compie velocemente il processo di riconoscimento del lavoro femminile e non la si smette di considerare normale e scontato il lavoro gratuito di cura – che è al 75% sulle spalle delle donne, se non si va verso un rapido compimento di questo cambiamento nei prossimi dieci anni, io mi rassegno al fatto che l’umanità andrà ad estinguersi molto velocemente. Un mondo femminista è per sua natura più protettivo, sostenibile, generativo, empatico, collaborativo, che sono le caratteristiche precise che servono adesso, urgentemente, all’umanità. Mi piacerebbe si arrivasse ad una compiutezza intesa come dato di fatto che ognuno possa essere quello che è, senza bisogno di una classificazione di genere, di colore, di preferenza sessuale, aspetti che non hanno nessuna importanza. Solo in anni più recenti le donne che fanno lavori creativi e divulgativi iniziano ad esprimersi senza filtri o interferenze iconografiche e di genere. Quello che ha certamente contribuito a dirmi incompiuta come – presunta – artista è che ad oggi non ho rinunciato a nessuno degli aspetti che mi compongono perché non voglio lasciare indietro né i miei versi né il rituale del mascara. Un caro amico editore – molto romano – una volta mi ha detto: “Sai qual è il tuo problema? A te te fanno fà troppo à principessa daa festa”. Il punto è, anche se avesse ragione che problema ci sarebbe se a me piacesse fare anche la principessa della festa? Sembra una piccola consapevolezza, in realtà è una cosa enorme. 

Quand’è che un’opera per te è compiuta?

É come quando vai a comprarti un paio di jeans, magari te ne provi 25, e quando trovi quello che ti veste perfetto te lo tieni per dieci anni. Quando scegli invece quello che ti piace ma ha bisogno di rifare l’orlo, essere ripreso qui e lì, non sarà mai come quello che ti sei infilata e andava bene così. Il progetto compiuto sono dei jeans a cui non devi fare l’orlo, tutto è al suo posto, c’è armonia delle parti. Una canzone nata male, o aggiustata, o messa in tracklist senza che ne fossi convinta ecco, alla fine non la canto mai dal vivo, non la indosso, non mi veste e non mi fa sentire a mio agio, la potrei indossare con mestiere, ma non con sentimento. Il compiuto è aderire alla propria natura.

Dove tieni le tue opere incompiute? 

Le tengo in maniera altrettanto incompita, in un big bang di testi, agende, quaderni, pizzini…ogni tanto vado a sbirciare e mi dico: questa è bella, la finisco. 

Cos’è un fertilizzante per te?

Il contatto con la natura, andare a fare la spesa, parlare con le persone, farmi una doccia. Il contatto con l’acqua mi sgombra la testa, le migliori idee mi sono venute nella doccia o in movimento, su treni e aerei. Ma è il silenzio il mio migliore alleato. Nel rumore non si ascolta niente, il silenzio invece è la forma più attiva di speranza che conosca. 

3 parole che abbineresti ad incompiuto?

Stagnazione, possibilità, pacificazione.

 

 

 

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