Unfinished Museum

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Guido Catalano

Gli spazi di un romanzo fanno spavento, io ero abituato a scrivere poesie brevi, è come se uno abituato a correre i 100 metri, dovesse fare la maratona. 

Non amo l’incompiuto e non lo pratico più, alcuni incompiuti del passato sono dovuti al destino, alcuni voluti, comunque li inserisco nella preistoria della mia vita. 

La poesia è compiuta e finisce bene quando hai voglia di leggerne un’altra, come con i cioccolatini.

 

Se ti dico Incompiuto qual è la prima cosa che ti viene in mente?

La mia vita artistica. L’ho iniziata con diversi incompiuti, io non volevo fare il poeta, volevo fare il musicista, ma non sapevo suonare nessuno strumento. Ho iniziato cantando e scrivendo testi con i classici amici del liceo e poi dell’università. Cantavo male con amici che a loro volta suonavano male, ma eravamo un bel gruppo e per molti anni siamo andati avanti facendo anche demo e diversi concerti che funzionavano anche, ed avevamo un discreto successo e un pubblico affezionato. Stiamo parlando di tanti anni fa, di un’epoca pre-internet, quando farti conoscere era molto più difficile di adesso. Il progetto è rimasto incompiuto perché poi dopo diversi anni, dopo una decina di anni, il gruppo si è sciolto. Io non volevo, ero convinto che questa cosa sarebbe potuta diventare qualcosa di più che trovarsi in sala prove, fare quattro concerti all’anno nei licei e nei centri sociali. Ero convinto che potesse funzionare, avevamo un pubblico affezionato. Avevo anche cercato di imparare a suonare la chitarra, poi mi sono fermato, poi ho poi preso lezioni di sassofono. Mi piacevano anche gli strumenti a fiato, anche questo è un altro incompiuto, non ho avuto la costanza di andare avanti e dopo un paio d’anni di lezioni prese da un vigile urbano che insegnava sax ho poi abbandonato e ho continuato a cantare in questo gruppo. Il mio ruolo era quello di scrivere i testi e tutto è cominciato da lì, perché ho poi continuato a scrivere ma i testi sono diventati poesie. Tuttora mi piacciono moltissimo i musicisti, il mio vero sogno era fare la Rock Star, avere un gruppo, fare i concerti allo stadio. Poi mi sono trovato a scrivere e a fare cose abbastanza simili, a leggere le mie poesie in pubblico, in luoghi dove normalmente si suona, si fanno concerti e spesso lavoro anche con musicisti. Sono uscito da una porta e rientrato da una secondaria e in qualche modo questa cosa del musicista è un incompiuto. Un semicompiuto, diciamo, perché sono riuscito a rimanere in questo mondo che amo, quello dello spettacolo live. Ho anche fatto alcuni reading in posti dove si fa al 99% musica come all’Alcatraz di Milano e in un certo senso sento di essere riuscito a mantenere questo sogno.

Unfinished di che colore/forma è?

Una cosa molle, un blob bianco, anzi color crema, tipo il purè.

C’è qualcosa che hai lasciato incompiuto nella tua vita?

Prima della musica, volevo fare il portiere di calcio, questo incompiuto è stato un vero trauma per me. Non ho potuto farlo per via dell’altezza inadatta al ruolo, non per mancanza di impegno o concentrazione. La natura me lo ha impedito ed ho vissuto a 14 anni il trauma dello scontrarmi con un’impossibilità fisica. Secondo me sarei potuto diventare bravo.

Un’altra cosa incompiuta, sono gli studi in legge. Avrei dovuto fare l’avvocato, dalla prima elementare ho sempre pensato che avrei fatto l’avvocato, come mio nonno e mio padre, davo per scontato in quanto figlio unico di portare avanti la professione, mi sono iscritto a Legge e dopo un po’ di mesi sono fuggito a Lettere Moderne.

Mi viene anche in mente un incompiuto curioso, quello dell’anno di militare. Davo per scontato che per difetti fisici non mi avrebbero chiamato e non ho chiesto il Servizio Civile, invece sono stato chiamato, ho fatto il CAR ad Albenga, un mese a Torino in caserma e poi mi hanno mandato via dopo vari consulti medici. É un incompiuto di cui sono felice, come quello di non aver continuato legge. Se avessi fatto l’avvocato non avrei fatto quello che sto facendo ora e che mi rende molto felice.

Il mio primo romanzo è rimasto a lungo incompiuto. Rizzoli me l’ha proposto, io non mi sentivo pronto, ma come faccio spesso ho comunque accettato. É poi uscito ed è andato bene. Ma ha avuto un rischio di incompiuto altissimo, perché ad un certo punto mi sono bloccato e ho impiegato il doppio del tempo previsto. Gli spazi di un romanzo fanno spavento, io ero abituato a scrivere poesie brevi, è come se uno abituato a correre i 100 metri, dovesse fare la maratona. Ringrazio Rizzoli che mi ha dato la spinta e il fatto che odio non finire le cose, infine e ce l’ho fatta.

Quale è il tuo rapporto con le cose incompiute?

Non amo l’incompiuto e non lo pratico più, alcuni incompiuti del passato sono dovuti al destino, alcuni voluti, comunque li inserisco nella preistoria della mia vita. Quando ho capito cosa volevo fare, non ho più frequentato l’incompiuto e quello che mi piace fare lo porto sempre o quasi sempre in fondo. É difficile che lasci la lettura di un libro o esca dal cinema prima che sia finito un film, anche se mi annoia o non mi piace, mi innervosisce lasciare cose incompiute.

Qualcosa di incompiuto che vorresti venisse finito

Non mi viene in mente nulla, ma sono molto felice che abbiano finito di mettere le piste ciclabili vicino a casa mia, ne stanno finendo parecchie e questo mi rende felice.

Viva l’incompiutezza perché?

Perché si può compiere, è una questione di pazienza.

Quand’è che un’opera per te è compiuta?

Una poesia si compie quando c’è un finale, la fine deve lasciarti a bocca aperta, devi dire “ah cazzo!”. Te lo dicono loro, lo capisci, è una specie di comunicazione tra me e la poesia, che mi dice: “guarda Guido, sono finita così”, e io le dico: “guarda, sei proprio finita e sei finita bene”. Prossimamente pubblicherò un libro di fiabe, pensavo di scriverne 100 che è un bel numero tondo, ma invece mi sono fermato a 97 e non sono più riuscito a scrivere. Sono fiabe molto brevi, penso che le cose brevi siano più facili da compiere, chiudere un romanzo è invece un’impresa faticosissima.

Con un romanzo è tutto molto più complesso, non lo scrivo da solo ma con un’editor (con l’apostrofo perchè è una donna). Per compiere un romanzo, ci deve essere un finale di potenza, che ti fa capire che non si può più andare avanti ed è giusto chiudere così. Il finale di potenza implica che chi lo legge avrebbe voglia di andare ancora avanti, come quando mangi e ti alzi dal tavolo che stai bene, invece se sei obnubilato, qualcosa non va. Quando un libro ti spiace che sia finito, vuol dire che era giusto finirlo così, prima che subentri la nausea. La poesia è compiuta e finisce bene quando hai voglia di leggerne un’altra, come con i cioccolatini.

Dove tieni le tue opere incompiute? 

Le poesie le cancello dal computer, le distruggo, le abortisco. Se una poesia si blocca, inizialmente le do la possibilità di continuare, poi mi dà talmente fastidio, che la cancello. Non esiste un luogo delle mie poesie incompiute, magari ci sono quelle malvenute, malfatte. Se scartabello i file e i fogli, dello scorso lockdown, ho iniziato un romanzo, non lo considero incompiuto perché ho intenzione di compierlo, se no lo distruggerò.

Cos’è un fertilizzante per te?

Leggere le cose che scrivono gli altri, ma in generale l’arte degli altri: libri, musica, mostre, cinema. Sono laureato in storia del cinema e so che non mi mancherà mai un fertilizzante, perché sono fertilizzanti infiniti. Poi ascoltare le persone, i discorsi degli altri sono fonte di ispirazione, le persone con cui parlo, i racconti dal vivo con le persone mi ispirano molto. I titoli dei miei libri li ho scritti grazie a persone che mi li hanno regalati inconsapevolmente.

3 parole che abbineresti ad incompiuto?

Ansia al cubo, anzi alla terza.

 

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