Unfinished Museum

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Rossella Piccinno

Siamo incompiuti perché veniamo al mondo come separati, non abbiamo completezza, cerchiamo l’altro per questo sentimento di connessione. 

 

Se ti dico “incompiuto” qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Il percorso iniziatico dell’umano su questo pianeta, siamo incompiuti perché veniamo al mondo come separati, non abbiamo completezza, cerchiamo l’altro per raggiungere questo sentimento di connessione. Siamo compiuti quando siamo energia cosmica, poi veniamo al mondo come metà. Penso alla vita, all’esistenza, a quello che facciamo per la sensazione che possiamo avere quando ci sentiamo parte del tutto, connessi. Quando ci sentiamo separati sperimentiamo il nostro limite. La vita è un percorso verso la compiutezza che probabilmente ci sarà alla morte, apice in cui ti ricongiungi al tutto, all’energia cosmica. Tutto il mio fare e il mio lavoro è mosso da questo motore: cercare di sviluppare questa sensazione di connessione che ti fa sentire parte di un tutto, di un essere “insieme” che raggiunge il tutto. Gli altri mi fanno sentire che sono parte di un corpo unico che è l’umanità, stiamo partecipando tutti ad un’unica grande opera. Anche nell’atto sessuale c’è questo, accogli l’altro nel tuo corpo perchè il tuo corpo non ti basta; anche quando dai la vita, l’altro ti germoglia dentro, si nasce da un altro essere umano, anzi da due altri, è una follia pensare che siamo separati.

Unfinished che colore ha?

Penso ai colori fondamentali: il bianco dove c’è tutto, l’incompiuto è energia potenziale. Anche il nero, siamo in qualcosa di indistinto, nella grande opera alchemica, il nero è l’inconscio, l’indistinto, il sotterraneo. 

Quale è il tuo rapporto con l’incompiuto?

Il tema del perfezionismo della compiutezza delle opere è stato superato grazie alle avanguardie, schieratesi contro l’arte accademica, contro la perfezione della bellezza classica. I surrealisti e dadaisti hanno messo in discussione tutto il sistema precedente che faceva dell’arte qualcosa di morto, opere di gran virtuosismo ma fine a se stesse.

L’arte è vita, come ci hanno insegnato gli artisti contemporanei. Come la vita è quindi incompiuta, in movimento, in completa trasformazione. La performance nasce alla fine degli anni ‘50, dopo le guerre mondiali, con quest’idea di incompiutezza. Gli artisti non sono più interessati a produrre un oggetto, ma l’arte diventa vita, accadimento, diventa un atto, e nell’atto c’è l’incidente, c’è l’imprevisto. Non esiste opera che rimanga fissata nel tempo, che sia compiuta o meno, subisce l’azione del tempo, invecchia. Il senso della trasformazione attraversa sempre un’opera.

Quand’è che un’opera per te è compiuta?

L’opera è una traccia di me come la lumaca che lascia una scia, l’opera è una traccia del mio percorso, non deve essere perfetta, è traccia di come siamo in un dato momento, se non si é proiettati verso la perfezione, è giusto che all’opera ci si metta una fine, perché si vuole passare ad altro. Oppure si é come Stanley Kubrick e si decide di lavorare per 10 anni per compiere un’opera perfetta, ma io non sono così, non voglio che la mia perfezione diventi una gabbia. Il mio interesse è vivere, e questo strumento che è il mio lavoro lo utilizzo per vivere nel mondo e mi aiuta a essere una versione migliore di me. Grazie ad esso, ho imparato ad ascoltare, osservare, dominare il mio ego, essere un canale per qualcosa. Il mio lavoro dura il tempo che deve durare per poter dar forma a quello di cui ho bisogno.  

3 o più parole che abbineresti ad incompiuto?

Cammino, viaggio, tempo, attesa. 

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