Unfinished Museum

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Piera Luisolo

La curiosità di vedere cosa succede dopo. Come quando i gatti si mettono sul mobile cercando di far cadere un oggetto perché vogliono sapere cosa succede. Quello sicuramente mi spinge a non fermarmi mai, c’è sempre qualcosa dopo che son curiosa di vedere.

 

Se ti dico “incompiuto” qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Per me è un termine tecnico. Ho frequentato l’Accademia Albertina di Belle Arti in un periodo in cui mancava una guida ma aleggiava ancora un’aura rigida come impostazione pittorica e tecnica, con una vocazione figurativa e una certa libertà che non pregiudicava l’utilizzo di materiali classici, tradizionali, come pennelli, tele e quant’altro. L’incompiuto era uno stile in quel contesto. Nella prima cattedra, quella che fu di Paolucci e poi di Saroni, gli studenti erano invitati alle volte a lasciare delle parti incompiute,  un esercizio con un motivo preciso: lasciare qualcosa incompiuto significa lasciare uno spazio di manovra anche allo spettatore. É uno stile con il quale sono stata formata da 18enne e si contrappone in maniera molto forte all’iperrealismo, che è una tecnica che non ho mai sopportato, forse proprio perché ho avuto questo imprinting del non dire tutto, di lasciare l’ultima parola a chi guarda il tuo quadro, lasciare lo spazio per immaginare il finale o per ritrovare una parte di sé in quell’immagine.

Unfinished di che colore/forma è?

Non so perché, ma mi è venuto in mente un colore azzurro polvere. Potrebbe esserci un residuo da qualche parte nella mia mente di qualche ricordo. Ho imparato a portare sul foglio pennellate alla “Turner”, nei suoi cieli ci sono segni gestuali molto visibili e con movimento tendenzialmente circolare, lui dava la coloritura dell’aria, della luce, poi questo movimento delle pennellate un po’ rotatorio, alla ricerca del volume dell’aria. La forma dell’incompiuto è quella di un cielo nuvoloso con tutte le sue tridimensionalità.

C’è qualcosa che hai lasciato incompiuto nella tua vita?

Così di primo istinto direi di no. Non mi sembra di aver nulla di incompiuto che vorrei riprendere, un po’ perché mi lascio il tempo necessario per aprire e chiudere le cose, almeno per ciò che è artistico. Per il resto, sono di natura molto curiosa e mi appassiono un po’ a tutto. Anche le cose più tristi ho imparato a considerarle parti fisiologicamente presenti nella vita di tutti. Potrei andare a pescare qualche storia passata con qualche fidanzato, ma anche lì non sarei quello che sono se qualcuno non avesse qualche volta anche deciso per me. Ogni tanto penso che tutte queste serie di opere che produco magari andrebbero mostrate, però affrontare una mostra è un impegno molto grande e non mi ci sono più applicata. Sento la mancanza di un curatore e di un mercante con una giusta vena commerciale, che potrebbe forse chiudere certi cerchi. Poi penso che dipende anche molto da me che non mi applico nella ricerca, nel farmi trovare, conoscere e queste cose non avvengono per magia.

Quand’è che un’opera per te è compiuta?

Quando dipingo su una superficie ho un andamento tendenzialmente a spirale nella composizione, ad esempio, di un volto: parto dagli occhi, centro gli occhi con i miei occhi e poi procedo con un andamento rotatorio, affrontando tutte le varie parti. C’è a un certo punto un momento in cui tu senti che il quadro è finito, anche se non è chiuso nei minimi particolari. Quel momento preciso in cui sai che quando il quadro è finito è stato difficile da imparare, tante volte sono andata troppo avanti, oppure mi sono fermata troppo in anticipo per paura. Passi tutta la vita a cercare quel momento magico e quando hai la fortuna di azzeccarlo, di fermarti al momento giusto e ottenere un buon risultato, questo ti dà una scarica di adrenalina e di sostanze naturalmente stupefacenti che ti fanno stare bene.

Il tuo fertilizzante preferito?

Io credo che sia la curiosità, quel gene dell’esploratore. La curiosità di vedere cosa succede dopo. Come quando i gatti si mettono sul mobile cercando di far cadere un oggetto perché vogliono sapere cosa succede. Quello sicuramente mi spinge a non fermarmi mai, c’è sempre qualcosa dopo che son curiosa di vedere. Anche la natura è un parametro a cui sicuramente attingo costantemente. Io faccio parte della prima generazione nata in città da famiglia di allevatori e agricoltori, quindi il fatto di vivere inscatolati in una città è qualcosa che sento non fare parte del mio dna. La mia tendenza sarebbe scappare in ogni momento. Le regole che muovono il mondo naturale sono regole chiare, trasparenti, che ho capito tanto tempo fa che possono aiutarmi a capire il mondo in cui vivo quotidianamente.

3 parole che abbineresti ad incompiuto?

Curiosità, opportunità, ingenuità

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