Unfinished Museum

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Giustina Testa

Incompiuto è entrare in una dimensione un po’ infantile. E’ restare in quella volubilità dei bambini, che sono ossessionati da una cosa per tre giorni, dopodichè è esaurito l’interesse e passano ad altro. 

Mi piace appassionarmi ai progetti, è più importante la passione che poi vederne l’accumulo, mi piace la spinta iniziale, quella vitale. Invece il chiudere qualcosa lo vedo come la fine, non un compimento sano, ma piuttosto un “adesso è finito tutto”.

 

Se ti dico Incompiuto, cosa ti viene in mente?

Incompiuto è entrare in una dimensione un po’ infantile. Da piccola disegnavo molto, ero una bambina precoce, e ho ritrovato un sacco di quaderni con un segno per pagina, perché io partivo dal centro, poi non mi piaceva, ma non cancellavo, dovevo avere il foglio bianco e quindi giravo pagina. “Non c’era verso di farti integrare la sbavatura nel disegno”, mi diceva mia madre, sono sempre stata così, mi piaceva ripartire. Non portare a termine qualcosa è anche restare in quella volubilità dei bambini, che sono ossessionati da una cosa per tre giorni, dopodichè è esaurito l’interesse e passano ad altro. 

Mi piace appassionarmi ai progetti, è più importante la passione che poi vederne l’accumulo, mi piace la spinta iniziale, quella vitale. Invece il chiudere qualcosa lo vedo come la fine, non un compimento sano, ma piuttosto un “adesso è finito tutto”.

Unfinished di che colore/forma è?

Per me è bianco. Il colore della ripartenza, lo spazio per qualunque altra forma e colore.

C’è qualcosa che hai lasciato incompiuto nella tua vita?

Penso alla mia storia accademica, ho fatto tante facoltà, anche bene, ma non ne ho finita neanche una. In realtà il teatro è l’unica cosa che ho continuato a fare: recitare e scrivere. 

Quali emozioni associ all’incompiuto?

Irrequietezza e anche insoddisfazione, declinata in senso positivo il più delle volte. Sicuramente il non compiere mi ha dato anche sensi di colpa, come se il mio valore fosse rappresentato molto da quello che faccio e da quello che ho portato a termine.

Dove tieni i tuoi incompiuti? 

Ovunque: ad esempio sul letto, ho iniziato il cambio degli armadi e i vestiti sono ancora lì; ci sono lavori a maglia sulla poltrona; documenti in disordine sul desktop a cui devo dare una forma.  

Le mostri a qualcuno le tue opere incompiute o le tieni per te?

Faccio degli accenni magari, perché sono un po’ gelosa, ne parlo quando penso di aver dato loro una forma e allora il contributo è ben accetto. In fase creativa sono molto insicura, devo crederci prima io.

Cos’è un fertilizzante per te? 

Gli affetti nel senso più ampio, l’attenzione a ciò che sta intorno, l’accorgersi e appassionarsi agli altri, alle storie. La dignità, darla è un grande fertilizzante, da teatrante mi viene da dire che ogni storia è degna e ha bisogno di pretendere che la dignità le venga riconosciuta. Ascoltare storie fa sì che le persone abbiano meno remore e aggressività, più gentilezza.

3 parole che abbineresti ad incompiuto?

Sorpresa, assoluzione, leggerezza… e riposo.

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