Unfinished Museum

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Dario Voltolini

Tutte le cose che posso considerare compiute hanno avuto un momento di incompiutezza: parte un progetto, inizio con un’idea, butto giù qualcosa e poi ristagna, rimane incompiuta per molto tempo, poi magari la ripiglio e la porto a conclusione, magari anche molto rapidamente.

Anche dal punto di vista psicologico, l’incompiuto mi sembra il mare in cui nuoto, ogni tanto qualcosa si compie, l’incompiuto è la vita.

 

Se ti dico “incompiuto” qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Tante cose. Tutte le cose che posso considerare compiute hanno avuto un momento di incompiutezza: parte un progetto, inizio con un’idea, butto giù qualcosa e poi ristagna, rimane incompiuta per molto tempo, e poi magari la ripiglio e la porto a conclusione, magari anche molto rapidamente. Per esempio, ho scritto un romanzo che s’intitola “Primaverile”. Mi ero fatto un progetto di cui questo era un quarto ovviamente, la primavera, e ho raccolto materiale, studiato, cercato, poi ho scritto le prime 15 pagine e mi sono bloccato. Dopo tanto tempo mi è venuto in mente il finale e da lì a poco ho finito il 90% dello scritto in poco tempo. Forse ho bisogno di fare un inizio che rimane incompiuto che poi fermenta e a un certo punto sboccia.

Questo “Primaverile” fa parte di un progetto che contempla le quattro stagioni. Il motivo è legato al mio amore per Vivaldi: volevo rendere onore a uno che mi ha fatto pensare con un’arte che io non frequento purtroppo, la musica, con la cosa che viviamo tutti, l’alternanza delle stagioni. Ho pensato che sono grato al destino di essere nato in un clima temperato. Ho pensato di scrivere quattro testi, ciascuno impregnato di cosa sento, penso e immagino della stagione. “Primaverile” (ndr, pubblicato da Feltrinelli) e “Autunnale” li ho già scritti. “Autunnale” mi è stato rifiutato dall’editore di riferimento, quindi l’ho pubblicato per conto mio. L’avevo fatto leggere a Carlo Fruttero, che nel frattempo era diventato mio amico, e lui mi aveva detto che effettivamente capiva l’editore, mi ha fatto un bel paragone: “Ho letto il tuo libro, l’editore non l’ha voluto, secondo me ha ragione e ti spiego perché: perché tu hai una “capacità di palleggio”, una tecnica, nella scrittura che è l’equivalente di Platini per il calcio.” Lì ero già fuori di me, poi però ha aggiunto giustamente che Platini per due anni di seguito ha vinto la classifica di capocannoniere perché tirava in porta e segnava, cosa che io non faccio mai. Quindi quel libro autopubblicato, a cui sono molto affezionato, può anche essere utile in questo contesto perché è come l’incompiuto: il palleggio fine a sé stesso senza il tiro in porta.

Dell’editore non mi fido, di Fruttero moltissimo e ha centrato la situazione riguardo quel testo lì, dopo di che io nella mia testa me lo rigiro così: il dna dell’autunno è così, non è compiuto finché non passa tutto l’inverno e ricomincia con l’estate.

Ho un altro progetto che non ha ancora nulla, se non un’immagine e un titolo.

“West end Garage”. Paradossalmente è uno dei più vecchi file aperti nella mia testa.

Non ha dentro niente se non questa foto che ho fatto in Irlanda, in una strada dove c’era l’insegna di un garage “west end garage” e una vecchietta che passava. Io vorrei fare una cosa che si intitola così dove dentro, senza farmi nessun problema di struttura metto dentro un sacco di cose. 

Unfinished di che colore/forma è?

Colore: bianco e nero, in attesa che prenda i suoi colori. Oggetto: un cassetto, pieno di roba.

Quale è il tuo rapporto con le cose incompiute?

Anche dal punto di vista psicologico, l’incompiuto mi sembra il mare in cui nuoto, ogni tanto qualcosa si compie, l’incompiuto è la vita, è fortuna (perché la vita compiuta significa “fine della trasmissione”), e ogni tanto da lì si prende un pezzo e lo si finisce, però l’incompiuto è sterminato rispetto al compiuto, a me sembra di nuotarci dentro, posso farti un elenco di 3-5 cose compiute e tutto il resto non lo è.

Poi c’è una psicologia che si chiama Gestalt, che potremmo tradurre approssimativamente con “forma compiuta”. L’idea in questa psicologia di chiudere una gestalt va proprio a parare con quello che diciamo noi, chiudere le cose sospese, no? Faccio un esempio, c’era stato problema di multiproprietà, cercando di risolverlo sono venuto in contatto con un macellaio che era stato un garzone di mio papà e non lo vedevo da cinquant’anni, non mi ricordavo neanche bene chi fosse. E mi ha raccontato cose che sono state una conclusione di una cosa che non sapevo nemmeno che fosse aperta, inconclusa: cosa pensava mio papà di me. Me l’ha detto lui, e io gli sono grato, non ho fatto nulla per raggiungere questa conclusione, però mi sono reso conto che mentre me lo raccontava, mi sono sentito liberato… perché è come se una parte di me avesse continuato a chiedersi: ma cosa pensava tuo papà di te? Ora me lo dice un macellaio che vedo cinquant’anni dopo ed è bello che sia conclusa questa cosa qui. 

Cos’è un fertilizzante per te? Cosa significa fertilizzare?

La vita. Avrei voluto essere uno in grado di dipingere e comporre e suonare, ma non sono stato in grado di fare nessuna delle due cose. La mia tecnica, la mia arte, è la scrittura e lì cerco di sopperire a questo desiderio di suonare e dipingere, cose che non so fare. Quindi come fertilizzante per la mia arte prendo molto dalla musica e dalla pittura. 

3 parole che abbineresti ad incompiuto

Bellezza (della cosa ancora da fare), dolore, Storia.

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