Unfinished Museum

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Cristina Bertolotti

Vedo l’estetica dell’incompiuto ricca e profonda di significati… la parete non dipinta fino alla compiutezza può avere una grande forza. 

 

Se ti dico “incompiuto” qual è la prima cosa che ti viene in mente?

Mi viene in mente la filosofia giapponese wabi sabi, della bellezza dell’imperfezione, della profondità dell’indeterminatezza, dove il confine tra esistenza e inesistenza lascia spazio ad una visione intuitiva di semplicità essenziale, naturale, multiforme, sfuggente, creativa.

Unfinished di che colore/forma è?

Una forma aperta, una sorta di cantiere aperto, in continuo cambiamento, dove tutto è ancora possibile, ma ha anche la forma intima di un giardino incolto, ma curato, dove trovare pace raccoglimento e riflettere. Ha i colori dell’ossidazione del rame, del metallo arrugginito, di un legno sbiancato dal sale dell’acqua di mare, dei muschi sulla roccia, ha i colori della magia del raku

C’è qualcosa che hai lasciato incompiuto nella tua vita?

Ho progetti incompiuti del mio lavoro, studi e semi di progetti sulla valorizzazione territoriale, paesaggio, “terre alte”, territori marginali, sul recupero dei borghi e dei luoghi dismessi. Si tratta di una parte della mia professione sull’architettura partecipata sul territorio che ho perso. 20 anni fa era pioneristico, un’ideale, c’era entusiasmo, c’erano progetti e c’era molto da investire con ritorni economici a lungo termine e incerti che non ho potuto permettermi.

Quale è il tuo rapporto con le cose incompiute?

Sono cose che rimangono aperte. Vedo l’estetica dell’incompiuto ricca e profonda di significati… la parete non dipinta fino alla compiutezza può avere una grande forza. Il progetto finito può inglobare l’incompiuto, lasciandogli quella vita che una perfezione toglierebbe in parte. In fondo, lo ricerco l’incompiuto, perché lascia spazio all’immaginazione. Ci sono libri, che ho amato tantissimo, di cui non ho letto le ultime pagine, in quel non finire lo lascio vivo dentro di me, non lo chiudo. È come una promessa fatta a chi ami di non abbandonarli mai, ma di lasciarli essere. 

Qualcosa di incompiuto che vorresti venisse finito?

Non saprei, mi piace pensare che ciò che è incompiuto forse ha lasciato compiersi qualcosa e quindi va bene così.  Alcuni incompiuti hanno una forza interiore da cui scaturisce una tensione creativa che lascia senza fiato. Penso al non finito michelangiolesco delle Prigioni, alla sua modernità, ai disegni di Leonardo fatti più di assenze che di linee e forme. Penso all’informale materico di Fontana, all’astrattismo, al minimalismo. Però se penso al campanile del Duomo di Torino, ha un tetto posticcio, è un tappo senza grazia che non è mai stato sostituito, Juvarra aveva previsto un pinnacolo, quando lo vedo mi viene voglia di dargli una cuspide di luce e cristallo. 

Cos’è un fertilizzante per te? Cosa significa fertilizzare?

Sicuramente la conoscenza è un fertilizzante, fertilizzare è creare condizioni per far sorgere la potenzialità. Il vuoto è fertilizzante, il silenzio, la curiosità, l’umiltà, i buoni pensieri, la felicità, il dolore, il cambiamento e ciò che non cambia… il letame. Tutto in una mente aperta e in un cuore grande diventa fertilizzante. Non lo è l’ignoranza, la presunzione, l’arroganza. Lo è il sapere di non sapere.

Il tuo fertilizzante preferito?

In questo momento mi fertilizza il contatto con la natura, la meditazione, le relazioni umane, le amicizie, il confronto e mia figlia, l’essere più meraviglioso, ostico e difficile al mondo.

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